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Dalle cinque grotte dell’Armo, al palazzo che ospitò il re di Napoli, fino ai piscioli, ai mascheroni e al lavatoio
Intorno alla chiesa di San Giacomo (che fino al 1500 era dedicata a San Matteo) si estese sotto la protezione dell’Armo la parte abitata delle famiglie dell’alta borghesia lauriota, ossia: Terzi, Scannone, Musella, Girardi, Priante, Messuti, Leonasi, Del Gaudio, Schettini.
Piazza San Giacomo era collegata con la Santa (Santa Maria del Suffraggio – Purgatorio-) tramite l’odierna via Cairoli (all’epoca Mpede l’Ulmo) ai piedi dell’olmo, proprio per l’albero caratteristico che sorgeva all’altezza delle case attuali di Chiarelli e Fittipaldi. Alla fine si allacciava alla vecchia strada romana (Popilia) che dal fiume raggiungeva tramite via Ammiraglio Ruggero, via Cincinnato e proseguiva poi verso la Calabria.
Le case di questo centro abitato sotto l’Armo si estendevano fino al Cerruto (zona ricca di cerri) ed alle spalle aveva ben 5 grotte che venivano abitato come rifugio di guerra.
Queste grotte si chiamavano: “Bel giovane”; “Tocca tocca”, “Del Gaudio”, “Pedali” , “Piano Annatti”. Le abitazioni terminavano a piazza San Rocco , sotto questo luogo vi era un’area non carrozzabile con un prato alberato denominato “Parco”.
Lungo via Cairoli vi sono ancora tracce di prestigiose abitazioni. Certamente il palazzo Del Gaudio- Olivieri, dall’atrio aperto si accedeva in via Cairoli; il palazzo conteneva sale spaziose e luminose, la veranda sopra la chiesa di San Giovanni Battista nella quale si accedeva attraverso un vicolo. Ora questo palazzo si chiama Marangoni perché l’ultimo erede della famiglia sposò il dottor Marangoni, di origine veneta, venuto a Lauria quale direttore dell’Ufficio delle Imposte.
Da borgo San Giovanni Battista (o San Matteo) scendendo lungo via del Precursore incontriamo la casa del capitano Pietro Ginnari. Questo palazzo conserva ancora la veranda fiancheggiata da archi a tutto sesto, un bel portale sormontato da uno stemma principesco.
Qui, in questo palazzo pernottò Ferdinando di Borbone nel suo viaggio in Sicilia nel 1798. Nel 1960 la sorella dell’arciprete affermava che in casa sua vi era la stanza del Re!
Procedendo per via del Precursore troviamo ancora abitazioni di riguardo. Alla fine di questa strada, presso piazza Sanseverino, sorge ancora la casa di Nicola Carlomagno (martire della Repubblica partenopea nel 1899) con un magnifico arco in pietra che costeggia una gradinata (forse unica testimonianza di una bella architettura medievale. Tempo fa ho segnalato all’amministrazione comunale l’esistenza di questa casa, invitandola a porvi una lapide ma ciò non ha avuto seguito.
Scendendo invece per via Giovanni da Procida(contemporaneo ed amico dell’ammiraglio Ruggero), troviamo la casa dei fratelli Giordano: Geremia e Pasquale tutti e due capitani dell’esercito borbonico.
Pasquale sposò a Firenze Urania Vespucci, ultima discendente del grande Amerigo dalla quale ebbe sette figli maschi, sparsi tutti per il mondo avendo seguito tutti la carriera militare. Solo uno di questi figli, il colonnello Odorico tornava a trascorrere l’estate a Lauria, infatti molti cittadini ancora lo ricordano con l’appellativo di “maggiore”.
Di Fronte a palazzo Giordano troviamo il palazzo Mosella (già palazzo Tucci) dove risiedeva il municipio di Lauria quando toccava questa incombenza a Lauria Inferiore per un periodo di tre anni in alternanza con Lauria Superiore. Questo fino alla costruzione del palazzo comunale a San Giovanni, nel limite del territorio dei due rioni, (fu terminato nel 1919).
Scendendo ancora per via Giovanni da Procida troviamo la casa del principe Donna Perna. Ancora più giù il palazzo Sarubbi-Messuti con un bel portale ed un artistico camino in legno. Questo palazzo oggi appartiene al prof. Priante. Ancora più giù la casa del cardinale Brancati.
Alla fine di detta via, l’ultima residenza dei duchi Ulloa-Calà. Un grosso palazzo, tutto in un solo corpo, fino agli anni ’60 poi venduto a scaglioni a più cittadini. Su una parte di questo, all’angolo di piazza Sanseverino io ricordo ancora un bel balconcino in stile spagnolo, con la ringhiera a pancia piena stile 1600, e nel portale uno stemma principesco che i nuovi acquirenti hanno conservato.
Continuiamo ancora verso via Fontana, lungo una larga gradinata che era la più bella di Lauria, sorge il palazzo Reale-Imbelloni di cui resta ancora una bellissima facciata verso via Fontana. Residenza anche questa degli ultimi Ulloa che a metà dell’800 ripartirono per la Spagna affidando le loro proprietà di Lauria e di Scalea ad un amministratore don Ferdinando Filardi.
Filardi vendette le proprietà di Lauria alla famiglia Reale (eredi: Dodero, Priante, Imbelloni, Mariano Lanziani).
Le case di via Fontana erano abitate dalla classe artigianale dell’epoca: c’erano falegnami, fabbri, concerie di pelli, scalpellini, filatori, maniscalchi. Vi passava ancora la via consolare romana quindi vi erano anche delle rimesse per calessi e relativi alloggi per i vetturali. E forse (così mi è stato raccontato dal maniscalco di via Fontana, San Francesco di Paola, operò il miracolo facendo restituire al proprio asinello, il ferro messo sullo zoccolo; questo perchè il fabbro richiese con insistenza la paga al santo che non aveva i soldi. Tutto comincia in via Fontana. Anche i miracoli!
E siccome qui si era più vicini all’acqua (il pisciulone dai 5 cannelli ha dissetato l’intero rione per secoli), sorse anche la piccola industria artigianale: i tintori, i vasai, i lanai e un pò più tardi la fabbrica di gassose ed infine il ginestrificio e la fabbrica di scarpe. Lo scolo dall’acqua, dalle tante sorgenti, nel discendere verso il Carroso, alimentava un possente lavatoio posto alla fine del centro abitato, dove dalla mattina alla sera si lavavano e si stendevano panni a iosa. Quest’acqua irrorava gli orti ricavati a terrazzo nella vallata, dando vita alla vegetazione e ad ortaggi tra i più ricercati. Si ebbe cosi il quartiere degli ortolani.
Il primo lavatoio, tutto in pietra locale, a grossi rettangoli, fu costruito alla fine del ’600. Fu rifatto intorno al 1950 sostituendo le pietre con vasche di cemento ( ben20 ). Nel 1976 fu abbattuto completamente insieme a tre mascheroni.
Teresa Mandarino
MANDARINO E VESCOVO
Teresa Mandarino